Il ciclo della plastica: abuso e inquinamento dell’ecosistema ambientale

Da poche settimane si è celebrata la Giornata mondiale dell’ ambiente, ricorrenza che cade ogni anno il 5 Giugno e proclamata nel 1972 dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Di anno in anno viene scelto un tema riconducibile allo stato generale del nostro pianeta, per sensibilizzare e far riflettere i cittadini sull’ uso e la tutela dell’ ecosistema terrestre. Quest’anno il tema è “Lotta alla plastica monouso”, molto attuale, visto l’uso giornaliero e l’ errato smaltimento che provoca danno al nostro Habitat naturale, infatti  come ci ricorda l’UNESCO “il fragile equilibrio della vita marina animale e vegetale è scosso dalla concentrazione sempre più elevata di plastiche di ogni tipo e la catena alimentare sta subendo danni forse irreparabili” 

Ma quali sono le sue  origini?

La storia della plastica  è riconducibile a vari personaggi che sperimentarono  diversi materiali. La parkesina, resina semisintetica, fu il  primo tipo di plastica artificiale e fu inventata dal chimico inglese Alexander Parkes nel 1856.  Il tipografo statunitense John Wesley Hyatt dopo una serie di esperimenti con la parkesina, nel 1869 brevettò la celluloide, mentre  il chimico Leo Hendrick Baekeland nel 1907 inventò  la  bakelite, resina termoindurente, che fu utilizzata per la  fabbricazione di elettrodomestici, giocattoli, scatole, gioielli, lampade, e materiale di uso quotidiano. Poi fu la volta del chimico americano Wallace Carothers che sintetizzò il nylon,  esso  trovò largo impiego nel settore tessile, mentre qualche anno dopo nacque  il polietilene tereftalato (PET). Ma il vero “padre” della plastica moderna fu Giulio Natta, che creò nel 1954  il Polipropilene isotattico, conosciuto meglio come MoplenNei  decenni successivi fino ai giorni nostri, la crescita tecnologica con le più sofisticate applicazioni, è riuscita a sviluppare i cosiddetti  “tecnopolimeri”. Tra questi citiamo il polimetilpentene (o TPX), le poliimmidi, il polifenilene solfuro e  il policarbonato (impiegato anche per produrre caschi spaziali) le loro caratteristiche principali sono quelle di avere un’ elevata resistenza termica e  meccanica.

Quanta plastica produciamo?

I dati dello studio di Science Advances  ci dicono che  la produzione mondiale di resine e fibre plastiche è cresciuta dai 2 milioni di tonnellate del 1950 ai 380 del 2015” e solo il 20 % della plastica utilizzata  è stata smaltita correttamente tramite il riciclo  o gli  inceneritori. Questi dati sono allarmanti e fanno comprendere come l’industrializzazione ci abbia portati ad una crescente domanda e ad un uso esorbitante di tale prodotto.

Quali sono le conseguenze sull’ ambiente?

Le plastiche, come altre sostanze industriali, sono tra i maggiori inquinanti dei nostri mari, questo perché il loro uso non è seguito  da un corretto smaltimento e in più non è biodegradabile, infatti  i tempi di degradazione sono molto lunghi, si passa dalle buste di plastica 10-30 anni, ai bastoncini dei cottonfioc 20-30 anni, accendini di plastica 100-1000 anni, fino alle bottiglie di plastica oltre i 1000 anni. Uno studio pubblicato su Nature, nel giugno del 2017, ha dimostrato che annualmente finiscono in mare tra 1,15 e 2,41 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica e i principali canali di trasporto sono i fiumi che muovono negli oceani circa il 90% della plastica. I fiumi che più di altri alimentano questo ciclo sono lo Yangtze, lo Xi e lo Huanpu (Cina), il Gange (India), il Cross (tra Camerun e Nigeria), il Brantas e il Solo (Indonesia), il Rio delle Amazzoni (Brasile), il Pasig (Filippine), l’Irrawaddy (Myanmar). L’immissione attraverso i fiumi e il gioco delle correnti negli oceani, creano concentrazioni di plastica compatta grandi anche centinaia di metri quadrati, le isole di plastica,  e il Mediterraneo non è esente da questo processo. La plastica crea un grosso impatto sull’ ecosistema, coinvolgendo anche il mondo animale, di cui è vittima prediletta, tramite l’inserimento nella catena alimentare.

Esistono plastiche di varie dimensioni, come possiamo suddividerle?

Abbiamo le  Macroplastiche, che presentano un diametro maggiore di 25 mm e possono causare agli animali soffocamento, strozzamento e intrappolamento tramite oggetti come sacchetti, reti e bottiglie;

Mesoplastiche, di diametro dai  5-25 mm;

Microplastiche, con dimensioni minori di 5 mm, a loro volta suddivisibili in microplastiche primarie: particelle prodotte in tali dimensioni (microsferule);

microplastiche secondarie: particelle  che derivano da oggetti di plastica di dimensioni maggiori e frammentate per esposizione al vento, onde o raggi UV, queste possono essere ingerite dagli organismi e assorbire inquinanti tossici per poi essere rilasciati in ambiente;

Nanoplastiche di diametro inferiore a un micrometro;

Oggi la ricerca di materiale non inquinante ha portato alla produzione di bioplastiche, che vengono create attraverso sostanze di origine biologica, tra le quali il mais e il frumento, con ciò si evitano inclusioni di origine fossile come carbone o petrolio e viene  biodegradato, (degradato da batteri o funghi in acqua, in aria o gas naturale)  con tempi di decomposizione di 2-3 mesi.

 

 

 

 

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